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    Obiettivo Le Mans: Matt Griffin

    Matt Griffin, 38, from Ireland, dedicated his sporting career to the Prancing Horse after watching Jean Alesi’s only Formula 1 victory on television.

    Maranello 13 agosto 2021

    Ci sono piloti che legano la loro carriera agonistica ad alcuni brand o scuderie, altri che si cimentano con mezzi e realtà diverse. Ci sono piloti la cui passione per le corse nasce quasi per caso, altri che invece trovano nei loro idoli di infanzia fonte inesauribile di ispirazione. Matt Griffin, 38enne irlandese, ha dedicato il suo percorso sportivo al Cavallino Rampante, dopo aver assistito in televisione all’unico successo conquistato in Formula 1 da Jean Alesi. La data è una di quelle che per molti tifosi della Ferrari è difficile da dimenticare: 11 giugno 1995. Sul circuito di Montreal, in Canada, il pilota di Avignone tagliò il traguardo trionfando assieme alla sua 412 T2 con l’iconico numero 27 sul musetto rosso. Per Griffin, quello fu il momento esatto in cui Ferrari entrò prepotentemente nella sua vita. Con le rosse, al momento di scrivere quest’intervista, Griffin ha conquistato 35 successi inclusa la vittoria nella classe Pro-Am della recente 24 Ore di Spa-Francorchamps.

    Cosa significa per te correre al volante di una Ferrari?

    “E’ davvero speciale, qualcosa che non puoi capire finché non lo fai, finché non ti ritrovi in pista, in gara, al volante di un’auto da corsa con il Cavallino sul cofano. Sarebbe speciale per chiunque, immaginatevi per uno come me che è fan di Ferrari fin da quando era bambino. Uno dei miei primi ricordi di infanzia, giusto per farvi capire, è la straordinaria vittoria di Jean Alesi a Montreal nel 1995, per me fu un momento magico. La mia passione era già viva da ragazzino: le pareti della mia camera da letto erano tappezzate di foto della Ferrari F40. Non mi sarei mai immaginato di diventare un pilota. L’occasione si è presentata nel 2008. Un anno prima avevo conosciuto Amato Ferrari sul circuito Paul Picard: poi mi è stato proposto di correre con lui e così abbiamo iniziato a collaborare. Solo allora ho realizzato che avrei potuto costruirmi una carriera da pilota professionista. Prima di salire in auto non avevo particolari preferenze tra le Case automobilistiche con cui correre, ma quando sono sceso in pista per il primo test ho avvertito una forte emozione nel mio cuore”.

    Quindi Alesi ha rappresentato la scintilla che ha fatto scattare la tua passione?

    “Prima di quel 1995 avevo già la passione per le auto, è nata quando ero piccolissimo. Seppur in tenera età sentivo il bisogno di conoscere ogni singolo dettaglio di ogni modello. Non a caso, qualche anno dopo mio padre mi regalò un go-kart con cui gareggiavo nei fine settimana. Oggi il karting è differente rispetto a quando correvo io nella metà degli anni ‘90. Ero bravo e avevo una grande passione, ma non avevo l’ambizione di diventare un professionista, non sognavo la Formula 1: semplicemente amavo i motori e tutto l’universo che ruota intorno all’automobile. Quando ho scoperto di avere le potenzialità, ho iniziato a credere che questo hobby potesse trasformarsi in una professione. Dicevo tra me e me: ‘magari potrei diventare come Schumacher…’. Da quando ho iniziato a gareggiare sul serio, però, devo dire che qualcosa è cambiato. La mia passione è rimasta intatta, ma il divertimento un po’ ne ha risentito: per diventare un professionista mi sono dovuto concentrare sul risultato e sulle prestazioni”.

    La tua prima gara con Ferrari è stata a Monza, al volante di una F430 GT2. Quali sono i tuoi ricordi, le tue emozioni ripensando a quel momento?

    “Monza è un circuito speciale. Immaginatevi una persona che viene dall’Irlanda e che improvvisamente si ritrova a respirare la storia del motorsport. Nel mio Paese non abbiamo questa tradizione. Arrivato a Monza mi sono sentito travolto dalla storia e dal fascino dell’Italia, con la sua gente, i suoi paesaggi e il suo cibo. Il tutto al volante di una Ferrari. Proprio in quel circuito, poi, ho ottenuto la mia prima vittoria, nel GT Open: in quel momento ricordo di essere stato travolto dalle emozioni, letteralmente. Ero talmente frastornato e confuso che chiesi a uno dei meccanici se avessimo vinto veramente. Non potevo crederci. A Monza esiste una tradizione: quando tagli il traguardo per primo devi firmare l’albo dei vincitori e quello è stato uno dei momenti più speciali di tutta la mia vita. Nel corso degli anni, poi, ho firmato tante altre volte, ma Monza resta un circuito iconico: è l’unico impianto in cui il podio è letteralmente avvolto dal pubblico e durante le premiazioni sei circondato da un’atmosfera unica. Correre a Monza è un’esperienza incredibile”.

    Non è un mistero che tu prediliga particolarmente i circuiti veloci: in questo senso Monza è quello che si adatta meglio alle tue caratteristiche da pilota?

    “Ci sono tracciati, come ad esempio Spa, che non puoi non amare, sono fantastici, anche se effettivamente non si adatta alle mie caratteristiche. Per quanto mi riguarda è fondamentale il giusto utilizzo dei freni, elemento che nel mio stile di guida è di primaria importanza. Durante una gara, utilizzare i freni nel modo giusto, al momento giusto, è determinante, ed è proprio questo il mio punto forte. In tal senso ci sono circuiti che mi permettono di sfruttare nel migliore dei modi questo mio talento: Monza e il Red Bull Ring sono tra questi. Spa è meraviglioso ma non riesco a valorizzare al massimo questa mia capacità”.

    Quanto conta la preparazione e la motivazione prima di una gara?

    “Prima contava meno, perché il livello dei piloti era più basso. Mi spiego meglio: i partecipanti si dividevano in due gruppi, chi puntava solo a divertirsi, senza troppe pretese, e chi invece puntava alla Formula 1. Questi ultimi, se non riuscivano a fare il grande salto nel giro di poco tempo, perdevano motivazione e smettevano di correre. Quindi, di fatto, in un modo o nell’altro, restavano in pista coloro che volevano semplicemente divertirsi. Negli ultimi sei o sette anni, invece, non è più così. Ci sono infatti piloti di Formula 1 che decidono sempre più spesso di proseguire la carriera proprio in queste serie, elevando notevolmente il livello. Quindi, per rispondere alla domanda, le motivazioni, la preparazione e la forma fisica oggi sono importantissimi. Anch’io mi alleno molto più duramente rispetto al passato, perché se non hai una buona forma fisica, se non ti concentri, se non passi ore e ore al simulatore, resti indietro. Prendiamo il caso del mio idolo, Andrea Bertolini: lui è l’esempio del pilota motivato e preparato che proprio grazie al suo impegno e alla sua dedizione è riuscito a vivere una lunga carriera. Se aprite il dizionario alla voce ‘pilota professionista’, non trovate una definizione, bensì una fotografia di Andrea. Solo così puoi sperare di restare al top a lungo”.

    Stai partecipando al campionato European Le Mans Series: quali sono i tuoi obiettivi per la stagione?

    “L’obiettivo sarebbe quello di vincere tutte le gare, ma è evidente che è difficile da raggiungere: come dicevo prima, il livello è molto alto. Quando si partecipa all’European Le Mans Series bisogna essere realisti: si deve ragionare gara per gara, cercando di dare il meglio di sé in ogni occasione. Si spera di vincere il campionato, certamente, ma il vero obiettivo è chiudere nelle prime due posizioni per accaparrarsi un posto per la 24 Ore di Le Mans. Immagina un pizzaiolo: il suo obiettivo è preparare la migliore pizza del mondo, bene il mio è arrivare tra i primi due per permettere ad AF Corse di partecipare alla 24 Ore di Le Mans. Inoltre, quest’anno ricorre la mia decima partecipazione consecutiva sia alla 24 Ore di Spa sia alla 24 Ore di Le Mans”.

    Ad inizio della stagione, la vittoria alla 24 Ore di Spa-Francorchamps era un obiettivo dichiarato. Ora che lo hai raggiunto, cosa provi?

    “La 24 Ore di Spa-Francorchamps rappresenta la gara più difficile e impegnativa, anche perché visto l’elevato numero di vetture al via, si è sempre impegnati in duelli con qualcuno, in ogni tratto della pista. Questa vittoria per me è semplicemente perfetta e credo che sia la prima volta nella mia vita che uso questo termine per definire una vittoria. Ho partecipato a dieci edizioni di questa gara, ho vinto nel 2013 e sono salito sul podio in altre due occasioni. Non abbiamo avuto problemi meccanici nonostante qui sia necessario essere aggressivi per essere veloci, il che significa che la macchina non viene trattata propriamente con rispetto sui cordoli e lungo la pista. Nonostante questo, tutto ha funzionato alla perfezione. Sono molto orgoglioso di far parte della famiglia Ferrari e AF Corse”.

    Qual è la migliore Ferrari da corsa che tu abbia mai guidato?

    “Personalmente la mia preferita è la F430 GT2 perché era più essenziale rispetto ai modelli di oggi. Non è un discorso legato solo a Ferrari, ovviamente, perché i tempi sono cambiati per tutti e il progresso è costante sotto il profilo tecnologico. Sono state introdotte molte migliorie sulle auto da corsa, ma con l’avvento del turbo le vetture hanno perso una parte della propria anima. Mi riferisco in particolare al sound. Ferrari 458 e F430 avevano uno suono fantastico, speciale e con il turbo questa musica è cambiata. Oltre a questo, esiste una componente affettiva: F430 GT2 è stata la mia prima Ferrari da corsa e in questo senso è un po’ come il tuo primo amore che non scorderai mai. Inoltre, la F430 GT2 aveva il cambio sequenziale e non i paddle shift, quindi dovevi guidare adottando la tecnica “heel-and-toe” [ossia il “punta-tacco” che consiste nell’usare il tallone e la punta dello stesso piede per azionare il freno e l'acceleratore, N.d.R.]. C’era “più pilota” e “meno tecnologia” e l’abilità umana contava di più. Oggi le auto sono molto più complicate e gli ingegneri devono settare decine di parametri affinché la tua vettura sia competitiva. In un certo senso è il team che ti permette di andare forte in pista. Prima la guida contava di più, era più semplice, magari rozza se vogliamo, ma anche più pura”.

    Qual è stata la gara migliore della tua carriera?

    “Difficile sceglierne una. Direi la gara che abbiamo vinto nel 2007 al Paul Ricard. Mancavano due ore alla fine e io avevo un giro di ritardo rispetto al pilota al comando. In quelle due ore ho dato tutto me stesso fino a vincere, ricordo che alla fine della gara ero distrutto, non avevo più alcuna energia. Però sono conquiste davvero speciali. Anche la mia prima esperienza alla 24 Ore di Spa è stata memorabile, una battaglia durissima con piloti fortissimi del calibro di Richard Westbrook e Mika Salo. Anche in quel caso ero sfinito ma, pur essendo stanchissimo, sono riuscito a trovare la grinta e la forza di oltrepassare ogni limite. Ed è proprio questo l’approccio che mi ha permesso di vincere così tante gare e mia moglie è preoccupata perché in casa non abbiamo più spazio per i trofei… Altro ricordo è legato al campionato 2013 quando ho vinto l’European Le Mans Series. È stato un anno perfetto, auto perfetta e strategia perfetta a ogni gara. Proprio in quella stagione ho compiuto una delle imprese di cui vado più orgoglioso, non in corsa ma durante una sessione di qualifiche. Stavo spingendo al massimo, cercando di utilizzare i freni il meno possibile, fino a quando ho perso il controllo della vettura e sono finito fuori strada, nella ghiaia. La macchina era in condizioni pessime e mi sono fatto trainare fino alla griglia di partenza. Mancavano due minuti al termine della sessione e io decisi di riprovare: una follia se pensiamo in che stato era ridotta la mia auto. Nonostante tutto sono rientrato in pista e ho conquistato la pole position. Non è una vittoria, certo, ma è come se lo fosse. D’altra parte, non è detto che le gare più gratificanti siano quelle in cui ottieni la vittoria”.

    Sono anni ormai che fai coppia con Duncan Cameron. Cosa rende la vostra collaborazione così speciale, quali sono i vostri punti di forza?

    “Sono stato molto fortunato a incontrare Duncan. Innanzitutto, è una persona fantastica, innamorato del motorsport esattamente come lo sono io. È un vincente in tutti i campi della sua vita, anche nella sua carriera imprenditoriale. A differenza sua, sono un pilota di professione ma quando siamo in pista non c’è alcuna differenza: lo stato d’animo è lo stesso, gli obiettivi sono gli stessi. Sono dieci anni che io e Duncan corriamo insieme e in questo lungo periodo ho avuto due offerte importanti che ho però rifiutato, perché non volevo lasciare Ferrari e Duncan. Si trattava di offerte molto allettanti che sulla carta avrebbero potuto giovare alla mia carriera, ma per me non è solo un lavoro, è anche una passione e come tutte le passioni è bello condividerle con le persone giuste. Tra me è Duncan è nata nel tempo una profonda amicizia. Il nostro obiettivo è vincere, ma quando siamo insieme si crea un’atmosfera speciale: è come un fratello e aver trovato un compagno di squadra come lui è stato un vero colpo di fortuna. L’amicizia durerà per sempre e spero che anche la collaborazione possa proseguire ancora per tanti anni”.