Sostituì la 330 America e fu presentata al Salone di Bruxelles. Era equipaggiata con il nuovo V12 Tipo 209 da quattro litri che aveva un blocco motore leggermente più lungo di quello della serie 400 SA da cui derivava. L’elegante linea fu disegnata da Pininfarina e ne furono prodotte due serie che si distinguevano soprattutto nel frontale, con quattro gruppi ottici nella prima (dal 1963 al 1965) e due nella seconda (dal 1965 al 1967). La produzione totale fu di circa un migliaio di esemplari.
La 330 GT 2+2 fu presentata nel gennaio del 1964 durante la consueta conferenza stampa d’inizio stagione, e fu mostrata al grande pubblico al Salone di Bruxelles che si svolse alla fine di quel mese. La nuova vettura occupò il posto del modello 250 GTE 2+2 che aveva terminato il suo ciclo produttivo con una serie di cento modelli noti come 330 America, visivamente identici alla 250 GTE ma equipaggiati con un motore da quattro litri.
Come per la vettura precedente, il disegno della carrozzeria dedicata alla 330 GT 2+2 fu affidato alla matita di Pininfarina che ideò una linea completamente diversa, con doppi gruppi ottici anteriori inclinati verso l’interno del cofano motore e composti di due proiettori: quello esterno da sette pollici e quello interno da cinque. L’aspetto del frontale ricordava molto quello della 400 Superamerica Superfast IV telaio n. 2207 SA, disegnata ispirandosi alla moda dei doppi fari anteriori che in quel periodo era molto in voga negli Stati Uniti.
In generale la linea del corpo vettura era diventata più morbida ed arrotondata, tranne che nella cornice dei proiettori anteriori, e proponeva una coda più tonda e prominente che offriva un vano bagagli più spazioso. I gruppi ottici posteriori rettangolari erano di tipo orizzontale: costruiti in un sol pezzo, si prolungavano incurvandosi fino ai lati dei parafanghi. Rispetto al modello precedente, il passo fu allungato di 50mm e grazie ad una nuova progettazione degli interni i passeggeri seduti dietro avevano maggior spazio a disposizione per le gambe e la testa, senza peraltro diminuire le misure riservate agli occupanti dei posti anteriori.
Gli esemplari della seconda serie videro la luce verso la metà del 1965, quando furono effettuate profonde modifiche al frontale della vettura. I doppi gruppi ottici anteriori furono sostituiti con una parabola singola, e l’aspetto della vettura divenne molto simile a quello già visto sulla 275 GTS, prodotta nello stesso periodo. Nello stesso momento le ruote a raggi della Borrani, per lungo tempo una dotazione tipica delle vetture Ferrari, furono sostituite con dei cerchi in lega leggera con dieci fori che però mantenevano il classico gallettone centrale di fissaggio. Le ruote a raggi rimasero in ogni caso disponibili a richiesta. Sempre in quell’occasione furono rivisti anche gli sfoghi d’aria situati sui parafanghi anteriori: si passò dalle undici feritoie presenti sulla 250 GTE ad un disegno a tre settori, che era utilizzato anche sulla contemporanea 275 GTS. I paraurti anteriori e posteriori furono aggiornati tramite l’adozione di una copertura in gomma. Anche gli interni furono interessati da un po’ di modifiche: la pedaliera, prima vincolata al pavimento della vettura, fu realizzata in forma sospesa, mentre una console centrale fu installata tra il tunnel della trasmissione e la parte bassa del cruscotto. Nuovi interruttori di comando per gli accessori ed una diversa collocazione delle bocchette di ventilazione completarono il rinnovamento pensato per la seconda serie.
I corpi vettura furono montati su dei telai con un passo di 2650mm, aventi come numero di riferimento interno 571 (sulla prima serie) ed in seguito 571/65 (sulla seconda serie). Furono tutti numerati con la sequenza di cifre dispari tipica delle vetture stradali: i numeri della prima serie vanno dal telaio 4963 al telaio 7533; quelli della seconda dal telaio 7537 al telaio 10193. La costruzione rispecchiava gli standard delle Ferrari realizzate in quell’epoca: tubolari ovali di grande sezione con estese crociere di rinforzo nella struttura principale, tubolari secondari saldati a quelli più grandi con funzioni di sostegno della carrozzeria e degli accessori. La vettura era equipaggiata con sospensioni anteriori indipendenti, ponte rigido posteriore con molle a balestra ed ammortizzatori telescopici, quattro freni a disco con circuiti idraulici anteriore e posteriore separati. La macchina era disponibile con la guida a destra o a sinistra, nel corso della produzione di serie il servosterzo fu poi offerto come optional.
Il motore era un’unità V12 da quattro litri con singolo albero a camme in testa, aveva numero di riferimento interno 209 ed in seguito 209/66. La cilindrata totale raggiungeva i 3967cc, l’alesaggio e la corsa misuravano 77mm x 71mm. La candele erano sistemate all’esterno della “V” formata dai cilindri e l’alimentazione era assicurata da un gruppo di tre carburatori Weber doppio corpo 40 DCZ/6 o 40 DFI. Era presente una doppia bobina e i distributori d’accensione trovavano posto nella zona posteriore dell’unità motrice. La potenza dichiarata era di circa 300 cavalli. Il propulsore derivava dal progetto originale a “blocco corto” di Gioachino Colombo ma era leggermente più lungo del solito, avendo una maggior spaziatura tra i cilindri a causa dei condotti dell’acqua maggiorati, resisi necessari per garantire un adeguato raffreddamento alle canne che erano state riviste con l’aumento dell’alesaggio. Le differenze tra i due motori di numerazione diversa riguardavano i punti di vincolo: il tipo 209 ne aveva quattro, il tipo 209/66 ne aveva due. Quest’ultima unità motrice fu utilizzata a partire dal telaio n. 08729. Il propulsore era abbinato ad un cambio con quattro velocità tutte sincronizzate, e quasi tutte le vetture della prima serie furono dotate della quinta marcia di overdrive comandata elettricamente. Gli ultimi modelli della prima serie e tutti quelli della seconda furono dotati di cambio a cinque marce, tutte sincronizzate. Il moto raggiungeva il ponte rigido posteriore tramite un albero di trasmissione. Quando si passò dal cambio a quattro velocità a quello con cinque marce, si sostituì anche il comando della frizione che da meccanico divenne idraulico.
La produzione della 330 GT 2+2 iniziò nel 1964 e terminò nel 1967, quando fu sostituita dal modello 365 GT 2+2. In totale furono realizzati 625 esemplari della prima serie e 474 della seconda: un risultato superiore a quello ottenuto con la 250 GT 2+2 in un arco di tempo similare. Il concetto di 2+2 si mostrò pertanto come una configurazione di successo che raggiunse una grande popolarità.