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I 60 anni della Dino: la nascita di una leggenda
Sessant’anni e non sentirli, anzi. Sono i miracoli dello stile senza tempo di un capolavoro come la Dino, nata in una culla del design come Pininfarina e presentata a Parigi, in una delle città più affascinanti al mondo: un destino già segnato. Se la storia della prima Ferrari di serie con motore V6 montato in posizione posteriore centrale è ormai conosciuta, meno si sa della sequenza di eventi che hanno portato alla nascita della sua inconfondibile linea. Di più, al processo artistico, tecnico e artigianale attraverso il quale è stato realizzato il prototipo che ha meravigliato il Salon de l’Auto parigino del 1965.
A raccontarlo, illustrandolo con disegni accurati e molto esplicativi, è Pietro Stroppa, che ha iniziato la sua avventura progettando gli interni delle auto alla Bertone, come assistente del giovane Giorgetto Giugiaro, poi in Pininfarina, dove conosce Brovarone, Martin, Fioravanti, prima di trasferirsi definitivamente in Francia nel 1974 grazie ad un contratto con la Regie Renault.
Partendo da un mascherone e dalla tradizionale battitura delle lamiere, la Dino prese forma attraverso un meticoloso processo artigianale
Quello di Pietro Stroppa è un tributo che lui ha voluto dedicare a un’icona come la Dino soffermandosi però sulle fasi meno conosciute ma fondamentali dell’iter creativo e sulla sequenza di momenti chiave che sbalordiscono per la loro semplicità. A partire dal briefing con il quale i designer dell’azienda sono stati incaricati direttamente da Sergio Pininfarina, che al progetto teneva molto: una chiacchierata di pochi minuti, mezz’ora al massimo, con la consegna dello schema meccanico dell’auto (n5.JPG), praticamente opposto alle consuete Ferrari col 12 cilindri anteriore.
Un paio di settimane dopo, a spuntarla è la geniale proposta di Aldo Brovarone, che immagina una berlinetta che a classici, arrotondati e filanti parafanghi anteriori, unisce una coda alta e tronca, raccordata all’anteriore con un padiglione basso, un parabrezza ampio e panoramico e un cofano che, grazie alla mancanza del motore anteriore, può svilupparsi verso la strada, dando dinamismo alla linea e una perfetta visibilità di guida.
Le modifiche alla prima idea, che considerava un muso con presa d’aria a “bocca di pesce” tipico Ferrari (e che lo stesso Enzo definì “troppo Ferrari”) e un lunotto posteriore che lasciava lo spazio per la batteria delle sei trombette di aspirazione del motore (n6 e n7), introdussero due caratteristiche stilistiche fondamentali: una doppia coppia di fari anteriori protetti da una fascia di plexiglass su un muso privo di calandra e un lunotto semicircolare concavo, che seguiva le “pinne” di raccordo tra abitacolo e coda.
I bozzetti di Stroppa fondono creatività artistica e precisione tecnica
È questo punto che iniziava il processo di realizzazione del prototipo, partendo da un figurino scala 1:10 con le quattro viste dell’auto (profilo, anteriore, posteriore, in pianta) per avere l’idea globale dell’auto (n8): “Era il primo momento ‘geometrico’, ovvero non più artistico, dello sviluppo” sottolinea Stroppa. Il passo successivo era il grande disegno in scala 1:1, ovvero a grandezza naturale, molto dettagliato e con un fitto reticolo che dava le misure di ogni dettaglio (n10). È da questo punto che partiva la realizzazione pratica del prototipo.
Spiega Stroppa: “I modellatori dell’atelier realizzavano le sezioni in legno del modello (n11): bisogna immaginare una pagnotta di pane tagliata a fette le quali, una volta compattate, danno la forma del pane. Qui il processo era al contrario: le fette venivano costruite prima di essere compattate insieme”. Era il così detto “mascherone”, la maquette che dava l’idea della linea e dei volumi dell’auto (n12). Lo scheletro così ottenuto veniva riempito di resina (n13) e poteva essere modificato nel dettaglio per poi essere utilizzato per creare la carrozzeria con le lastre di lamiera e alluminio, lavorata dai battilastra usando il mascherone come dima (n16). Una volta terminato il mascherone, sulla sua struttura veniva realizzata una gabbia che serviva di riferimento per assemblare i vari pezzi realizzati dal battilastra (n14 e n15). Questa gabbia veniva quindi montata sul telaio (n17), in questo caso fornito dalla Ferrari, il tutto appoggiato sul “marmo”, ovvero la base sulla quale veniva riportati i riferimenti relativi, ad esempio, al posizionamento delle ruote.
Era un processo complesso, assolutamente manuale e artigianale. Si disegnava su grandi tavoli e i calcoli di facevano con il regolo, gli artigiani lavoravano i dettagli in pezzi di legno che poi si incastravano perfettamente tra loro e i battilastra davano forma al metallo a colpi di martello.
Succedeva 60 anni fa e la Dino è ancora oggi un capolavoro di dinamica, stile, meccanica. Straordinariamente moderna, straordinariamente unica.