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    A tu per tu con Stephen Earle

    Estoril 16 luglio 2023

    Ildoc’ è tornato. Il Ferrari Challenge Europe saluta ad Estoril il ritorno dopo diversi anni di Stephen Earle, da tutti soprannominato il dottore per la sua professione di medico specialistico, protagonista delle prime edizioni del monomarca del Cavallino Rampante. In realtà, il portacolori di Kessel Racing ha un legame forte e duraturo con Ferrari, come tiene a sottolineare.

    “Ho iniziato a correre con Ferrari nel 1993 e tranne una piccola parentesi all’inizio del nuovo millennio sono sempre rimasto con il Cavallino Rampante. Dopo il Challenge il mio obiettivo era quello di correre con vetture GT, perché le competizioni a ruote scoperte erano per me troppo rischiose, pensando alla mia famiglia e ai miei cinque figli. Ho atteso quindi il 2002, quando ho potuto esordire con una Ferrari nei campionati GT, a Le Mans. Da quell’anno in poi sono sempre stato con Ferrari, cambiando solo serie”.

    Come hai ritrovato il Ferrari Challenge? Quali le maggiori differenze rispetto ai primi anni?
    “Oggi trovo un campionato molto ben strutturato, del resto parliamo di una crescita di 30 anni e anche le vetture sono molto più veloci. Agli inizi, nel 1993, guidavamo le Ferrari 348 Challenge e le gare duravano venti minuti, anche per non mettere troppo sotto pressione le vetture che erano auto stradali adattate alla pista per quanto riguarda le misure di sicurezza. E ovviamente il ritmo di una gara poteva mettere fortemente sotto pressione le auto. Poi dal 1995 in Europa e dal 1996 negli Usa sono arrivate le prime vere vetture da corsa e le prove sono state allungate a 30 minuti”.

    Che atmosfera si respira qui al Ferrari Challenge?
    “Nel Ferrari Challenge si è sempre respirata tanta passione. Una volta che ne fai parte è davvero difficile spiegarlo a chi è fuori da questo ambiente: devi viverlo per capirlo. Inoltre, una volta che ne fai parte non riesci più a farne a meno perché più corri, più migliori e quindi aumenta la voglia di scendere in pista: è un circolo virtuoso!”.

    Cosa pensi della vettura, la 488 Challenge Evo?
    “Rispetto alle vetture che ho guidato in passato noto un’enorme differenza nella potenza. Faccio un esempio: le auto della serie GT3 hanno poco più di 500 CV, sono molto leggere e hanno un maggior carico aerodinamico. Ma la 488 Challenge Evo ha 670 CV. Non tanto i freni, non tanto il carico aerodinamico: la vera differenza rispetto alle altre auto è proprio la potenza.

    Quali sono i tuoi obiettivi per questo fine settimana portoghese?
    “Il primo obiettivo è divertirmi, il secondo è il podio!”.

    Cosa ne pensi del circuito di Estoril?
    “Adoro i circuiti ‘old-school’ come questo o come per esempio Brands Hatch o come molti circuiti americani. Cosa intendo per ‘old-school’ quando parlo di tracciati? Carreggiata, due metri di erba e poi le barriere: su questi circuiti il limite di velocità lo decidi tu e sai che se esageri puoi uscire e rischiare! A parte gli scherzi, nei circuiti moderni la carreggiata è affiancata, per esempio, da un’altra zona asfaltata dove non puoi transitare: però in quel caso, anche se esci dal tracciato, rischi una penalità o di perdere tempo. Sui tracciati ‘old-school’ rischi invece di finire contro le barriere e di terminare anzitempo la gara: quindi questi circuiti ti costringono a guidare con precisione, a curare maggiormente la guida e a restare sempre concentrato. E soprattutto devi tirare fuori il coraggio”.

    Sulla tuta hai una patch con una storia particolare, ce la racconti?
    “Si tratta della bandiera americana con la scritta ‘F-USA’, ovvero ‘Ferrari Usa’. Nel 1994 partecipammo per la prima volta alle Finali Mondiali, al Mugello. Il nostro capo meccanico riteneva che dovessimo avere una sorta di segno distintivo che ci caratterizzasse rispetto ai piloti europei: e gli venne in mente la sigla ‘FUSA’, appunto ‘Ferrari Usa’. Il punto, però, è che da quel momento, dopo la gara, invece di pronunciare correttamente in lingua inglese la parola ‘USA’, tutti iniziarono a riferirsi a noi pronunciando in lingua italiana quell’acronimo: “Fusa!”. Da quel giorno sulle nostre tute campeggia questo simbolo e lo porto anche qui ad Estoril”.