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    Rahel Frey: “Il meglio deve ancora venire”

    Rahel Frey is one of the leading members of the Iron Dames team, an Iron Lynx team project that aims to promote women’s involvement in the world of racing.

    Maranello 03 marzo 2022

    Rahel Frey è una delle protagoniste del team Iron Dames, progetto della squadra Iron Lynx che vuole promuovere il coinvolgimento femminile nel mondo dei motori.

    La portacolori della Svizzera, insieme alle sue compagne, si è messa in luce nella scorsa stagione a suon di risultati, partecipando alla 24 Ore di Le Mans e ottenendo due podi nella seconda parte del campionato ELMS a bordo della Ferrari 488 GTE numero 83, arrivando al terzo posto nella graduatoria finale tra i team nella classe LMGTE.

    Hai affrontato la tua prima 24 Ore con Iron Lynx: com’è cresciuto il team in questi anni?

    “Semplice, è sufficiente guardare il numero dei titoli conquistati. Stiamo crescendo e il team si sta espandendo sempre di più, aumenta il numero dei piloti e il numero delle auto. Non solo nella partecipazione alle 24 Ore ma anche nelle altre gare, ormai scendiamo in pista con almeno tre vetture. La squadra si allarga costantemente e questo ci permette anche di maturare sempre più esperienza”. 

    Secondo il tuo punto di vista, qual è l’importanza del progetto Iron Dames per l’intera competizione? Di fatto è il primo progetto in assoluto a supportare la presenza femminile nel motorsport.

    “Fin dall’inizio, la nostra fondatrice, Deborah Mayer, ha pensato a questo progetto come a qualcosa che dovesse avere continuità, guardando sempre al futuro. E per questo motivo, anche se oggi il team annovera già protagoniste inserite ed esperte, pensiamo che il meglio debba ancora venire: in quest’ottica noi stesse, che gareggiamo oggi, lavoriamo per il futuro del team, per accogliere le nuove generazioni, e siamo sicure che avranno lo stesso impatto positivo che abbiamo noi oggi.

    Il progetto è iniziato con un obiettivo molto chiaro: valorizzare le donne di tutti gli ambiti, non solo nel motorsport ma in generale, in tutti i settori. Il nostro motto è “Siamo donne guidate da un sogno”. Quando hai un sogno nel cassetto, inseguilo con tutte le forze, solo così puoi aumentare le possibilità di realizzarlo. Insomma, vogliamo davvero motivare tutti, vogliamo far capire che tutte noi possiamo essere “Iron Ladies”, in qualsiasi campo”.

    Ci sono ancora obiettivi che questo team può raggiungere? 

    “La prima ambizione resta il successo: d’altra parte dobbiamo vincere se vogliamo motivare le donne. Questo, dunque, è il primo obiettivo in assoluto e lavoriamo duramente ogni giorno per raggiungerlo. Ma è altrettanto importante, come dicevo prima, lavorare per il futuro: in questo senso è fondamentale la partnership con FIA Women in Motorsport, o con la Ferrari Driver Academy. Per esempio, abbiamo Maya (Weug ndr) che a soli 16 anni gareggia in Formula 4. Lavoriamo per supportare le giovani driver, ci impegniamo duramente affinché possano crescere in fretta.

    Loro sono il nostro futuro e in questo senso Deborah Mayer, come dicevo prima, ha avuto un’intuizione geniale: noi stesse, chiunque partecipi all’intero progetto, tutte, insomma, lavoriamo perché questo futuro sia il più brillante possibile. Il fatto che ora Deborah sia la nuova presidente del FIA Women in Motorsport è di ottimo auspicio per tutto il movimento”.

    Sei un’ispirazione per tante ragazze che si vogliono avvicinare al motorsport: ma chi ha rappresentato un’ispirazione per te?

    “La mia famiglia. In particolare, mio padre. Ha sempre desiderato diventare un pilota, ma non ne ha avuto la possibilità. Anche per questo, quando ero una bambina, mi portava a vedere le gare di kart, alle quali mi sono pian piano appassionata. Poi, un giorno, ho deciso di provare. Da quel momento ho sempre potuto contare sul sostegno di mio padre, e insieme abbiamo cercato di raggiungere questo sogno: diventare, e farmi diventare, una pilota professionista. È stata molto dura, ma ce l’abbiamo fatta: avere il supporto della propria famiglia aiuta moltissimo.

    Poi senza dubbio, ci sono stati grandi piloti che mi hanno ispirato, primo tra tutti Ayrton Senna. Ovviamente, infatti, il sogno da bambina era di correre in Formula 1. Ho cercato di capire cosa avrei potuto fare e quale strada avrei dovuto percorrere, poi a quel punto ho iniziato a lavorare sodo per inseguire il mio sogno”.

    Per una donna qual è l’ostacolo più difficile da superare nel motorsport? 

    “Personalmente l’ostacolo maggiore è stato l’aspetto economico, come capita molto spesso a tanti. Anche perché in Svizzera non ci sono circuiti e quindi per gareggiare e allenarmi dovevo forzatamente spostarmi all’estero. Non è secondario, inoltre, il fatto di essere una donna, ci sono cliché contro cui effettivamente devi combattere: devi saper comunicare alla perfezione, soprattutto quando ti trovi a parlare con gli ingegneri, devi comprendere complicati aspetti tecnici.

    Insomma, devi sapere per bene quello che vuoi, essere convinta di ciò che desideri. In questo settore una donna deve mettersi alla prova due volte: in pista e lontano dalla pista. Però, se conosci il mondo del quale vuoi fare parte, se conosci ciò che dovrai affrontare, il mio suggerimento è di affrontarlo, altrimenti non ce la farai mai”.