Annunciata da Enzo Ferrari nel settembre 1983 e svelata al Salone di Ginevra nel marzo 84, la GTO era anche conosciuta con la sigla non ufficiale 288 (2.8 litri, 8 cilindri). Suscitò immediate reazioni d’entusiasmo. Il nome leggendario, la bellissima linea di Pininfarina, il motore dalla potenza che pareva inesauribile, il largo uso di materiali speciali facevano di lei la vettura di serie più simile ad un’auto da corsa disponibile sul mercato. Per far fronte alle richieste della clientela, si dovettero costruire 272 esemplari al posto dei 200 previsti: furono tutti venduti prima che la produzione iniziasse.
Nei primi anni della storia Ferrari la maggior parte delle vetture stradali era realizzata in serie limitata. Solo verso la fine degli anni cinquanta fu possibile iniziare una produzione in serie più consistente. L’ultimo modello prodotto in serie limitata fu la 365 California, negli anni 1966/1967. La GTO, presentata al Salone di Ginevra del 1984, anticipò il ritorno delle produzioni di serie realizzate in piccoli volumi. Inizialmente, l’idea non contemplava l’obiettivo di fornire a un ristretto numero di clienti selezionati un mezzo di trasporto esclusivo: l’esigenza, invece, era di produrre le duecento unità necessarie a ottenere l’omologazione per le competizioni del Gruppo “B”.
Tuttavia, le regole sportive furono oggetto di variazioni e la Ferrari si trovò ad avere in casa una vettura orientata alle competizioni senza un campionato dove farla correre. Non ci fu bisogno di preoccuparsi: al Salone di Ginevra la vettura creò un effetto talmente sensazionale che il numero di esemplari previsti per la produzione fu venduto sulla carta in brevissimo tempo. In effetti, c’erano più compratori che automobili disponibili e il totale delle vetture realizzate alla fine della produzione toccò le 272 unità. Il modello fu costruito tra il 1984 e il 1986, con numeri di telaio in cifre dispari compresi tra il 52465 e il 58345.
La denominazione ufficiale dell’automobile fu solamente GTO, anche se molti appassionati la identificano come “288 GTO” per differenziarla nelle conversazioni dal modello 250 GTO, poiché questa vettura che fa parte del mito Ferrari spesso era chiamata semplicemente GTO.
La denominazione 288 fa riferimento alla cilindrata totale del propulsore e al suo numero di cilindri: 2,8 litri con otto cilindri. Ovviamente, il nome “GTO” dato al nuovo modello era un tocco retrò che si riferiva alla leggendaria 250 GTO dei primi anni sessanta: la nuova nata doveva considerarsi la sua erede spirituale nelle corse riservate alle vetture GT, un progetto che in seguito, come abbiamo già detto, fu abortito.
La GTO fu il vero punto di partenza della “Sindrome delle Supercar”, e dimostrò l’esistenza di un mercato per produzioni di serie in piccoli volumi di vetture sportive con prestazioni estreme, vendibili quasi a qualunque prezzo. Prima di essere ritirate dai loro proprietari, molte GTO videro il loro contratto d’acquisto passare di mano, spesso più di una volta, con lauti profitti per il suo venditore.
Pertanto, nei rimanenti anni ottanta, si sviluppò una reazione a catena che coinvolse anche i modelli più popolari. Nuovi veicoli furono introdotti da vari costruttori, ansiosi di appropriarsi di una fetta della torta, e ben presto il mercato delle auto classiche e sportive fu coinvolto in una forte spirale di prezzi al rialzo. Prezzi che ovviamente, arrivati a un certo punto, non poterono far altro che scendere. Ciò avvenne all’improvviso e il botto fu molto forte: l’effetto collaterale fu che molti speculatori si trovarono così in una situazione finanziaria pesantemente negativa.
La GTO fu davvero in grado di catturare l’immaginario dei compratori, anche se dal punto di vista estetico non era molto diversa dai più diffusi modelli Ferrari a otto cilindri commercializzati in quel periodo.In effetti, sembrava una 308 sottoposta a una cura di steroidi anabolizzanti, con parafanghi più bombati, un assetto più basso e degli spoiler più grandi.
Le modifiche le diedero un aspetto più aggressivo e sotto il cofano c’erano abbastanza cavalli per sostanziare delle prestazioni elevatissime, che ben si abbinavano all’apparenza muscolosa. Anche se erano esteticamente simili sia all’interno sia all’esterno, ed entrambe erano spinte da motori 8V, non c’erano altre similitudini tra la GTO e la serie 308.
Pur essendo ispirata dalla silhouette della serie 308, la GTO ne condivideva pochissimi elementi: il telaio era più lungo, il propulsore sistemato in posizione centrale era montato longitudinalmente al telaio, e la maggior parte dei pannelli della carrozzeria erano realizzati con materiale composito o forme in resina. Le maggiori differenze visive erano le seguenti: i parafanghi anteriori e posteriori erano più bombati, e sulla parte terminale di quelli posteriori erano presenti tre sfoghi verticali per l’aria, un richiamo ai parafanghi anteriori della 250 GTO costruita negli anni sessanta.
Lo spoiler anteriore era più profondo e ospitava due coppie di fari rettangolari poste alle estremità della griglia per il radiatore, la coda aveva uno spoiler con un labbro maggiormente pronunciato e i retrovisori sugli sportelli erano fissati tramite alti supporti. Anche il cofano motore ricco di sfoghi per l’aria era vincolato al pannello di coda, invece di avere le cerniere sotto il lunotto come nei modelli 308. Il motore sistemato in posizione centrale longitudinale era un V8 a novanta gradi: uno dei suoi lati era così vicino alla cabina abitacolo per ottimizzare la distribuzione dei pesi che fu necessario prevedere un accesso sulla paratia per rendere possibili gli interventi di manutenzione.
Questo fu il primo propulsore V8 montato longitudinalmente a essere installato in una Ferrari stradale di serie, e anche il primo a essere dotato di due turbocompressori. La cilindrata totale era di 2855 cc, con alesaggio e corsa pari a 80mm x 71mm, il rapporto di compressione era pari a 7,6:1 e il numero di riferimento interno era F 114 B 000. Erano presenti quattro valvole per cilindro, doppio albero a camme in testa per bancata di cilindri ognuno con la sua cinghia dentata, lubrificazione a carter secco, due turbocompressori IHI e l’aria per l’aspirazione era convogliata attraverso una coppia d’intercooler Behr a 0,8 bar.
Il tutto, abbinato a un sistema integrato per l’accensione e l’iniezione Weber Marelli IAW, generava una potenza dichiarata di 400 cavalli a 7.000 giri al minuto. Il differenziale era montato dietro al motore, in un blocco assieme al cambio sincronizzato a cinque velocità, dotato di coperchio terminale rimovibile per facilitare la sostituzione dei rapporti, un retaggio degli intenti originari che prevedevano l’impiego nelle competizioni.
I corpi vettura erano assemblati su un telaio avente un passo di 2450 mm, di 110 mm più grande rispetto ai modelli 308, ma la lunghezza totale era minore di cinque millimetri, a causa di uno sbalzo posteriore più ridotto. Il telaio aveva numero di riferimento interno F 114 AB 100 e la costruzione seguiva il tipico principio Ferrari del telaio tubolare in acciaio con bracci incrociati, abbinato a sottostrutture che sostenevano il motore, le sospensioni e gli equipaggiamenti accessori, che comprendevano un roll bar di sicurezza nell’abitacolo.
Le ruote in lega di magnesio Speedline furono realizzate appositamente per questo modello, avevano la consueta forma di stella a cinque punte e i cerchioni scomponibili con misure pari a 16” x 8J davanti e 16” x 10J dietro, con bullone centrale di fissaggio al mozzo di tipo Rudge. L’impianto frenante era dotato di doppio circuito idraulico, grandi dischi ventilati e servo assistenza. Le sospensioni erano indipendenti con bracci oscillanti tubolari in acciaio, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici e barre anti rollìo anteriori e posteriori.
Un sotterfugio del marketing recitava “Potete avere la vettura in qualunque colore vi piaccia, a condizione che vi piaccia il rosso!” Per gli interni, i clienti avevano una scelta leggermente superiore a quella del colore della vernice esterna: si potevano scegliere sedili di pelle totalmente neri o, in alternativa con la seduta arancione in tessuto. Erano disponibili a richiesta i vetri elettrici, l’impianto di condizionamento e un apparecchio radio.